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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
insegnante, letterato, Firenze (22-5-1910) [Inizio Voce]de nu culledarese – L'amore e il suo regno nei proverbi di Colledara – Ddu huttave e ttre ssunètte – Un romito abruzzese del secolo XIX, ed un'appendice. In tutti questi suoi scritti c'è una così profonda osservazione d'ogni cosa che ne circonda, ed un così acuto studio delle nostre sensazioni, comunque si manifestino, non che delle molteplici cause da cui vengono suscitate, che ci sembra, leggendoli, di trovarci davanti il più sottile psicologo, anziché dinanzi un letterato. Il libro su Colledara, natio borgo dello scrittore, per unanime consenso dei critici più noti, fu giudicato un capolavoro: e le sue letture dantesche gli procurarono le lodi entusiastiche di quanti non notarono soltanto in lui il critico dotto, dalle interpretazioni ingegnose, ma il geniale evocatore d'ogni più riposta bellezza, il poeta che del più grande dei poeti mostra ai colti suoi uditori le sublimi concezioni, esposte da quello al grande pubblico con un arte insuperata ed insuperabile. Quanta grazia e quanta spontaneità nei suoi sonetti dialettali che sono gioielli del nostro vernacolo, e che profondo conoscitore del cuore umano si rileva in quel suo romito abruzzese del secolo XIX. Né manca negli altri suoi lavori di critica erudita quella particolare caratteristica che il di lui spirito ci mostra come ammiratore entusiasta d'ogni archetipa bellezza. Se non che la Parca ha reciso il filo della preziosa sua esistenza, quando, con maggior lena, attendeva agli studi favoriti, ed era la sua operosità più feconda di buoni frutti. Infatti aveva già annunziato, come prossimo a pubblicarsi, Il dolore d'una principessa, e ad un comune amico che lo vide, non è molto, a Firenze diceva di essere a buon punto nello svolgimento di nuovi suoi lavori, che ben presto avrebbe dati alla luce. L'avvocato cav.
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