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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Città S.A. 5-8 — La rivedo come fosse ora la donna gentile, perfetta, affettuosissima, una delle figure più belle di quella che fu la vera nobiltà dell'Umbria. Dal crine quasi interamente niveo, alta, distintissima aveva qualche cosa di regale e di finemente gentile che subito conquistava, ammaliando. Aveva nello sguardo placido, sereno un candore che rilevava la bontà dell'anima intellettuale, finissimo e nelle maniere cortesi affabili lo spirito mite e nel sorriso geniale, aperto, leale, la mansuetudine del cuore. La rivedo ancora la fine gentildonna mentre mi diceva: Cecilia è uscita or ora, venga pure, rimanga, è sua amica e sarà anche mia!... Così mi accolse la Contessa Aldegonda-Zacchei Travaglini. Non avevo scordato mai quel sorriso soave, genialissimo che ispirava fiducia perchè anima eletta, nata all'amore e per l'amore e di cui era tanto prodiga, generosa, verso gl'infelici specialmente e i derisi della sorte. La contessa Gonda, come tutti a Spoleto si compiacevano chiamarla giovanissima e fiorente di bellezza, ricca di censo e di alta coltura, aveva giurato fede al Conte Carlo Zacchei Travaglini, nome illustre di cui la storia Spoletina ne ricorda le origini antiche, glorificandone gli atti di valore, di generosità e in questo fiore nobilissimo soave, parve dal Cielo destinato alla continuità di opere buone, grandi che nè il tempo, nè il freddo marmo dei silenti sepolcri possono far dimenticare giammai. Ella fu l'angelo della famiglia, l'angelo dei diseredati, l'angelo della carità. Comprese l'alta sua missione e seppe ovunque spargere la dovizia delle sue virtù, delle sue ricchezze con la potenza della sua pietà. Accoglieva nei suoi salotti i più stimati ingegni, le personalità più spiccate, un ritrovo altamente intellettuale ed ove eran trattati i più ardui
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