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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
insegnante, direttore d'istituto, Teramo (1-2-1926) Sia consentito anche a me di porgere l'estremo saluto alla salma del caro e venerato cav. Luigi Mancini. Sià ciò consentito al modesto gregario d'una classe di docenti, la quale è intimamente legata, in fraternità di lavoro e d'ideali, a quella degli insegnanti primari. Meglio ancora: sia tale onore concesso ad un antico alunno delle scuole elementari urbane di Teramo. Dovere di colleganza, dunque, e riconoscenza di discepolo mi spingono a parlare in questo momento. Parlare... Ma come? Questa mia voce, anche se fosse la più sonora e la più eloquente, non potrebbe rendersi interprete delle tante voci che parlano sommessamente nei vostri cuori, in quest'ora che vi si risvegliano echi lontani, o signori. Ed il mio logoro cuore, anche se fosse in grado di moltiplicare i suoi palpiti, non potrebbe seguire il battito dei mille cuori che oggi in questa città, e in tutto il Comune tremano d'accorato rimpianto e di gratitudine pel Maestro di tante generazioni. Vedo qui attorno non soltanto dei vecchi professionisti, che hanno sospeso i loro affari, ma anche dei lavoratori, che hanno deposto il maglio sull'incudine, per accorrere attorno a questa bara, per ritrovarsi tutti con gli occhi umidi di pianto nella luce tristissima di questo tramonto. Non è dunque il lutto soltanto d' una scuola questo. E il lutto d'una intera città, d'una popolazione. Il vecchio Maestro, che esule da qualche anno dalla scuola pareva esservi dimenticato, trova oggi che non solo la scuola, ma la vita non l'aveva obliato, che anzi la vita è ancora tutta per Lui oggi ed è più forte della morte. Perché la vita spirituale di questa regione Egli aveva contribuito a crearla e n'era stato uno dei più abili e tenaci costruttori. Pensate, signori:
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