Amava molto discorrere e ridere e preferiva la compagnia degli uomini a quella delle donne. Sembrava buona d'aspetto, ma qualche suo gesto imperioso e più ancora il corrugare frequente delle sopracciglia svelavano un naturale piuttosto indipendente ed egoista.
Augusta dormiva con la cameriera in una camera un po' appartata. Una notte essa venne da costei svegliata e condotta in camicia, nella stanza della madre. La trovò che piangeva, i capelli sciolti sulle spalle e il corpo avvolto da una semplice vestaglia. Appena vide la bimba, essa ebbe un lampo di tenerezza e la abbracciò strettamente, bagnandole il visino con le lagrime. Augusta non comprendeva la causa di quel dolore; pure, con la facile suggestionabilità dell'infanzia, si pose a pianger anch'essa. A un tratto una specie di intuizione le disse che si trattava del padre e che una grande disgrazia gli era accaduta. Allora, si pose a urlare: Babbo! Babbo! e, svincolatasi dall'abbraccio materno, sfuggendo alle mani della cameriera, che aveva tentato di afferrarla, si precipitò all'uscio della camera, ove il padre dormiva.
La porta era socchiusa; dentro la stanza non si udiva un rumore. La bimba entrò di colpo e vide, nella penombra lasciata dalla luce sbiadita di due candele, un gruppo di uomini, che circondavano silenziosamente il letto. Nessuno si accorse della sua entrata; perciò, essa potè scivolare fra quelle persone e accostarsi a quel letto.
Sopra, steso supino, giaceva il padre col volto bianco come neve, gli occhi spalancati, ancora dolci nell'espressione.
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Babbo Augusta Babbo
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