Il vecchio tacque. Intorno a lui si sarebbe udita volare una mosca. Gli stessi inservienti e i medici, incuriositi, si erano avvicinati.
Dopo un breve silenzio, ripigliò:
— Domani i nostri fulmini cadranno sovra la razza umana e la distruggeranno completamente. Non risparmierò alcuno, poichè ben mi pentii, una volta, di aver salvato Noè l'ubbriacone e la sua famiglia. Pel cielo, se qualcuno ha da parlare in propria difesa si avanzi, poichè la mia collera non è ancora divampata.
Una donna si tolse dal gruppo e accennò a parlare. Aveva un corpo macilento da tisica e due occhietti rossi e cisposi.
— Signore, cominciò, io sono Venere e chiedo pietà per le fatiche, che ho sopportato con questi sconoscentissimi uomini. Ho lavorato molto per farli ossequenti alla mia volontà, mi son logorati gli occhi e le membra per procurar loro quella felicità, che soltanto il mio amore può dare. Tutto fu invano! Cominciarono con l'innalzarmi dei templi. A quell'epoca li videro in lunghe file venire a deporre le loro offerte ai miei piedi. Erano teneri e timidi come agnelli e si lasciavano carezzare dalle mie dolci mani. Ma un vento impuro ha abbattuto quei ricettacoli dell'amore. Ogni mortale ha sprezzato i tesori, ch'io prodigavo con lena instancabile e si è compiaciuto nell'antepormi l'interesse e la viltà. Mi son vista cacciata di paese in paese, finchè ho dovuto rifugiarmi, e lo confesso, con rossore, sotto una maschera di belletto, in stanze sucide e puzzolenti. Qualche volta gli adulteri e i giovanetti mi invocano, ma non riescono più a trovarmi, tanto fitto è il velo di ipocrisie e di paure, che copre i loro poveri sguardi.
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Venere
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