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      parlatorio con un rivale più giovine di lui. La novizia, indispettita, congedò allora lo spilorcio vecchio, e si prese per confessore il prediletto; perloché, montato in furia e consumato da gelosia il ripudiato, appostossi presso la porta della chiesa il primo giorno che andò il rivale a confessare la sua penitente:
      «Prosit» vedendolo, gli disse col fiele in bocca.
      «Vobis» rispose l’altro sogghignando.
      Di là a poco il vecchio morì di crepacuore, ed il giovine, perché povero, fu supplantato da un altro confessore, di meno fresca età, ma fratello d’un ricco funzionario.
      Essendo inferma una monaca, il prete la confessò nella cella. Indi a non molto l’ammalata si trovò in uno stato interessante, ragion per cui il medico, dichiarata idropica, la fece uscire dal monastero.
      Una giovanetta educanda scendeva tutte le notti al luogo delle sepolture, ove da un finestrino, che comunicava colla sagrestia, entrava in colloquio con un pretino della chiesa. Consumata dall’amorosa impazienza, non era in quelle escursioni impedita né dal cattivo tempo né dal timore d’essere scoperta. Udì una volta un forte strepito vicino a sé: nel fitto buio che la circondava credette scorgere un vampiro nell’atto di aggraticciarsi ai suoi piedi. Erano i topi. Ne fu talmente percossa di spavento, che di là a pochi mesi morì di consunzione.
      I confessori di comunità sono scelti dai superiori per un triennio, ad uso di quelle monache e di quelle converse che non ne hanno uno particolare, per essere pervenute ad un’età disadatta agli intrighi amorosi.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337