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      Cosí la favola dei poveri amori campagnoli è incerchiata, come un episodio, tra la fuga e l'inseguimento de' due piú belli e splendidi numi dell'olimpo naturale. E con ciò siam lontani, ma lontani di molto, da quelle insulse ecloghe e commedie di cui già ebbi a fare troppo lungo discorso.
      Un'altra novità, e opportunissima. Il recitativo non è nell'Aminta di soli endecasillabi sciolti, ma le parti piú morbide e passionate gli hanno mescolati a' settenari. Tale verseggiatura il Tasso dedusse dalla Canace dello Speroni, pubblicata da prima nel 1546, e ne dedusse anche un verso intero (Pianti, sospiri e dimandar mercede).(87) Non piú: sí che, quando Battista Guarini scriveva, il 10 luglio del 1585,(88) allo Speroni, la Canace essere spiegata con la piú pura e la piú scelta favella che abbia poema alcuno di nostra lingua, e tanto di leggiadria aver nell'Aminta suo conseguito Torquato Tasso quanto egli fu imitatore della Canace, nell'Aminta da esso il Guarini stimata assai piú d'ogni altra poesia del Tasso quanto alla dicitura; quando il Guarini, dico, scriveva tali cose, egli lusingava di troppo il fastidioso sopracciglio del cattedrante di Padova, e, se non paia malignità di posteri, anche indulgeva a una cotal nebbiuzza di passione propria contro il povero Tasso.
      Ma come l'apparizione e l'opera dell'Aminta fosse giudicata e sentita dall'età che fu del Tasso, i lettori, spero, ameranno leggere nella testimonianza del primo e piú amoroso biografo del poeta, Giovan Battista Manso napolitano:


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuè Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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