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      Quivi [in Ferrara] nel verno seguente [1573] compose e fe' rappresentare il suo Aminta, con general lode e maraviglia di ciascheduno ch'allora l'udí o che l'ha poscia letto; cosí per l'eccellenza del componimento giudicato per ogni sua parte perfettissimo in sé medesimo, come per l'invenzione del poema eziandio; perciocché, quantunque sia secondo le universali et antiche regole della poetica composto, nondimeno quanto alla scena et alle persone in essa rappresentate et a loro costumi, non se n'era fin a quel tempo nella nostra lingua, né meno nella latina o nella greca, veduto un altro tale; onde se ne può senza fallo chiamar l'inventore. Conciosiacosaché coloro fra gli antichi che introdussero nelle scene boscareccie le buccoliche rappresentazioni e le persone de' pastori e delle ninfe, come furono tra' greci Teocrito e tra' latini Vergilio e tra' nostrali il Sannazaro et alcuni altri scrittori d'egloghe, non composero favole perfette, né d'una intiera azione né del richiesto spazio di tempo o di convenevole ligamento o scioglimento, e molto meno con le parti necessarie della quantità e della qualità, senza le quali niun poema si può chiamar regolato, ma gl'introdussero a semplicemente favellare quel che loro veniva a grado, senza sottoporsi ad altra regola ch'all'osservanza del costume (onde i loro componimenti si potrebbono piú tosto una raunanza di molte scene che una favola scenica chiamare), avendo essi l'altre regole lasciate alla comedia et alla tragedia, che loro parvero maggiormente capaci delle drammatiche osservazioni.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuè Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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