Veggasi, per esempio, quella scena (2a dell'a. III) in cui Aminta ode dalla bocca di Nerina il racconto di quelle circostanze, che inducono fermamente a credere la morte di Silvia: egli troncamente esclama,
O velo! o sangue!
O Silvia! tu se' morta!
E ciņ dicendo vien meno. Tratto veramente tragico pe 'l sentimento e per la forma dell'elocuzione; ma il Tasso, a ciņ non contento, ne guasta sśbito l'effetto facendo muovere ad Aminta rinvenuto verso il suo dolore una tale apostrofe sķ spiritosa e sottile, che un uomo a sangue freddo penerebbe forse a inventare. Cosķ pure nella scena 1a dell'atto IV bellissimo č quel ripiglio che fa Dafne alla ritrosa Silvia poiché la vede accorata per la creduta morte di Aminta e pentita del suo rigore:
Oh quel ch'io odo!
Tu sei pietosa, tu? tu senti al cuoreSpirto alcun di pietade? Oh, che vegg'io!
Tu piangi, tu superba? Oh meraviglia!
Che pianto č questo tuo? pianto d'amore?
Questo movimento drammatico e i modi naturali e vivi con cui č espresso sono, per dirlo cosķ di passaggio, un di quei fonti da cui l'Alfieri ritrasse la brevitą e l'energia del suo tragico stile. Ma il Tasso rompe ben tosto questo movimento, alto forse di troppo per la tenuitą del genere pastorale, ma pure in sé bellissimo, e pone in bocca a quella Dafne medesima una serie di antitesi sulla morte di Aminta che toglie Silvia di vita; la quale raffredda tostamente il lettore infiammato da quel bel tratto, e lo riduce a non trovare altro pregio che quello della lingua e dell'elocuzione lą dove si prometteva nell'incanto drammatico un piś profondo diletto.
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