Non ne capiva gran cosa. Ce n'erano di quelle che parlavano della patria: comprese vagamente che non facevano al caso suo. Poi c'erano delle favole: La cicala e la formica; La rana ed il bue; Il cane e la fonte.
Ti pare che una di queste possa andare? domandò alla cuoca.
La cuoca trovò che quelle storie di bestie erano fatte per raccontarsi dalle governanti a' bambini, e non dai bambini alle governanti.
E proprio per la signorina non dicono niente, soggiunse.
La Gemma continuò a cercare. Finalmente trovò una poesia che le parve messa là per lei.
Non la capiva tanto bene, poverina: aveva appena sette anni, e non capiva molto chiaramente neppure la prosa; figurarsi poi i versi! Ma quelli erano dedicati ad una signora, e le pareva ben chiaro che le facessero de' complimenti.
La Gemma cominciò a copiarla colla sua più bella scrittura. Vi sciupò un quinterno di carta, con cui la cuoca fece un rogo per nascondere la cosa anche al padrone. Giacchè la grande impresa era riuscita senza il suo concorso, bisognava serbare l'improvvisata anche a lui.
La sera giunsero parecchi conoscenti che andavano a fare la partita alle carte col babbo della Gemma e la governante, e quando quella signora fu seduta fra loro, cogli occhiali d'argento e con un bel vestito color tabacco, nuovo per la solennità della circostanza, la Gemma si fece innanzi tutta trionfante colla poesia scritta in mano, mentre la cuoca dalla porta faceva capolino, per godere anche lei di quel trionfo dovuto in gran parte alla sua pensata.
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Gemma Gemma Gemma Gemma
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