Togliete il popolo e poi anche il basso clero, concentratela ne' vescovi, ne' cardinali, nel papa, - e l'unitá è scissa, distrutta.
Stabilito questo concetto, il Rosmini considera la Chiesa qual'è nel secolo XIX. E dice: guardatela: il popolo, perché non capisce la lingua latina - ed i riti sono in latino - rimane spettatore inintelligente; e quando talvolta prende parte alle cerimonie del culto, non comprende neppure il significato della sua partecipazione. Dunque esso è spogliato di diritti e di doveri, rimane estraneo alla Chiesa. Il basso clero è ridotto quasi alle stesse condizioni del popolo, con tutt'i doveri, senza diritti, deve ubbidire passivamente a quel che viene dall'alto. I vescovi anticamente si scrivevano fra loro, si visitavano, si univano ne' concilii provinciali, si mettevano d'accordo. Ora sono divisi in tante nazioni, perdono il sentimento della comunione gli uni con gli altri, non sono conosciuti nella diocesi: è un'oligarchia artificiale. - Scisso il popolo, scisso il basso clero, scissi i vescovi, che chiesa è mai questa? - .
Rosmini ha messo il dito nella piaga. Egli vuol ricostituire la Chiesa vivente, ristabilire la comunione de' fedeli, fare come nelle societá civili dove al potere assoluto s'è sostituito il costituzionale, creare un elettorato religioso come l'elettorato politico: su entrambi splenderebbe, quasi stella polare, il papato.
Il concetto è bello, non destinato a perire. E il Rosmini ha piena fede che quelle riforme devono essere fatte da un papa il quale consentisse a non essere piú sovrano assoluto.
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