- Fu questo l'assunto degli storici del secolo passato, come del Romagnosi, che rimpiangevano la venuta di Carlo Magno, quale impedimento alla fusione de' longobardi con gl'Italiani.
Tutte queste sembrano idee strane a Balbo che va fino ad attaccare Dante ed il suo libro De monarchia. E veramente gli spiriti italiani erano cosí esaltati, che poteva venire l'idea di farsi aiutare dagli stranieri, non quella di farsi conquistare; sicché qui Balbo si crea mulini a vento pel piacere di combatterli. Egli stesso se ne accorge e dice esser pentito di averci consumato un capitolo.
Notate però un passo importante. - E se potessero sorgere questi nuovi ghibellini - egli dice - io, che in quei tempi sarei stato guelfo, oggi diventerei guelfo: fortuna che guelfi e ghibellini sono passati alla storia. - Balbo se non era ghibellino, non poteva nemmeno a rigore dirsi guelfo come Rosmini, Manzoni, Gioberti; era piemontese piú che guelfo.
Altro sogno da scartare. Sismondi avea pubblicato il suo bel libro, la Storia delle repubbliche italiane, e da esso prese origine una scuola di cui il piú illustre rappresentante fu Carlo Cattaneo, di cui sopravvive Giuseppe Ferrari. Credevano l'Italia non si potesse fare se non con la repubblica, fondando uno Stato centrale ed aggruppandogli intorno gli altri. Questo sistema fu messo in ridicolo e gl'Italiani, un po' retorici quando parlano sul serio, ma inarrivabili quando vogliono far dello spirito, lo chiamarono: il sistema delle repubblichette; Giusti trovò l'espressione: - l'Italia in pillole.
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