Nel frattempo importanti avvenimenti militari e politici eransi maturati. Bologna, dopo quattro giorni di disperata resistenza, aveva dovuto capitolare nelle mani del bombardatore Gorkowsky. Ancona, dove teneva il comando militare quel Livio Zambeccari, compagno di Garibaldi a Rio Grande, minacciata, si preparava ad imitarne e sorpassarne l'eroismo; a Fiumicino s'ancorava la flotta, avanguardia della spedizione spagnola; da Gaeta l'Antonelli s'affannava a mettere d'accordo i quattro alleati senza riuscirvi; la Francia finalmente continuava la politica a due faccie: quella delle parole favorevoli a Roma, quella dei fatti favorevoli al Papa.
Di guisachè, mentre l'Assemblea nazionale a Parigi decretava che la spedizione francese fosse "ramenée à son premier but", Luigi Napoleone e l'Odillon Barrot inviavano lettere e messaggi all'Oudinot, ripetendogli l'ordine di entrare a Roma a qualunque costo per restaurarvi il governo papale.
Infine, perfidia maggiore di tutte (se si eccettua il nero tradimento che doveva fra breve compiere il Generale Oudinot), la missione a Roma del Lesseps affidatagli da Drouyn De Lhuys. L'inviato francese doveva col governo di Roma trovare il modo di conciliare la libertà del popolo Romano, i diritti della sovranità pontificia, e la dignità del governo francese; in realtà doveva condurre i Romani ad aprire ai francesi le porte di Roma, per restaurarvi il potere temporale del Papa.
Il primo effetto dell'arrivo del Lesseps fu la tregua di trenta giorni: tregua che slealmente venne anticipatamente rotta dal Generale francese; ma che ad ogni modo giovò al governo della Repubblica romana, per finirla almeno coll'esercito borbonico.
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