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      A trent'anni chi non è stato chiuso ermeticamente in un'atmosfera di beata melensaggine, pur troppo sente d'aver perdute tutte le illusioni, ma, perdio, mi pare una sciocchissima contradizione questa di pretendere che il mondo cammini, e nello stesso tempo scoraggirlo e sulla via fatta e su quella da fare. Pochi di noi Italiani (e mi dispiace di dirlo) sanno cosa sieno passioni pubbliche. Molti, chi per moda, chi per ambizione, chi per ozio, e chi per rendersi più caro, hanno parlato di patria, e chi sa che diavolo d'idee annettevano a questo vocabolo, le molte interpretazioni del quale dimostrano che pochi o nessuno sa cosa voglia dire. A me pare come il nome di Dio: si sente e non s'intende. I Greci l'hanno sentito, e si sono immolati al suo idolo; essi dunque per ora leggano e rispondano col cuore indulgente a queste pagine. Noi non possiamo giudicarne che con la mente, e la mente è troppo severa. M'ingannerò, ma noi per ora dovremmo far tesoro degli affetti di famiglia; prima educarci, poi istruirci: prima esser padri, poi cittadini. Non si metta il carro avanti a' buoi, altrimenti faremo delle canzoni più o meno splendide all'Italia, ma l'Italia rimarrà sempre di pezzi come il vestito d'Arlecchino.
      La poesia unita alle lettere, sia detto fra noi, cammina su i trampoli, e si vede che l'autore non è esercitato gran cosa a verseggiare. La parola Cimitero che ne forma il titolo, infonde un non so che di mesto e di funebre nell'animo, e lo prepara ad un'armonia grave e solenne.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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