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      Aborrendo il lusso strampalato dei novatori come la goffa povertà, mi sono tenuto ai modi familiari del dire, offendendo in grazia dell'efficacia qualche volta (e Dio me lo perdoni) anco la grammatica.
      Ma senza accorgermene ho stesa una prefazione. Perdonami: l'amor proprio, confessiamolo all'amico, è un po' chiacchierone. Addio.
      40.
      A Matteo Trenta.133
      Firenze, 13 agosto 1840.
      Carissimo Sig. Matteo.
      La sua lettera m'è stata graditissima, ed ogni volta che Ella si risolverà a scrivermi, sia certo di farmi un vero piacere. Ma, da parte i complimenti per carità: io non son nato nè per farne, nè per riceverne, e quando mi trovo o nell'uno o nell'altro caso, rimango lì imbrogliatissimo. Anzi, questo modo di fare un po' rotto, e il linguaggio da strapazzo che io soglio usare cogli amici e coi conoscenti, credo che mi faccia passare qualche volta per duro o per orgoglioso; ma sebbene io me ne accorga, le confesso che non mi curo punto di correggermi, perehè ho in tasca di tutto cuore certi uomini lisci, morbidi, untuosi, i quali non vi danno mai nessuna presa, e vi sguisciano di mano come l'anguilla. Ho gusto che gli amici mi trovino presto (per così dire) il manico: e sì che dovrei desiderare il contrario per lunga e non spiacevole esperienza; ora Ella sa che le cose ruvide si tengono in pugno più facilmente.
      Venni qua per otto o dieci giorni, e ci sono tuttaviaNon per elezïon ma per destino
      desidero però vivamente di tornare a casa, e sto sull'ale aspettando il tempo di spiccare il volo.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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