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      So che lo leggono, lo vedo sopra molti tavolini, farà del bene di certo; ma siamo una razza sbiadita: il cuoriciattolo dello stupido nipotame tremola e si raggrinza al ruggito, e quel che è peggio, anco al sospiro dei nonni, slargandosi piuttosto al solletico delle stramberíe galvaniche dei ciarlatani d'oltremonte, per fare un salto o due, e poi giù, più morto di prima.
      Tornate qua; tutti vi vedranno volentieri, non fosse altro per gratitudine: noi poi v'accoglieremo coll'animo che sente ristringere i legami dell'antica amicizia da un affetto di più.
      Salutate tanto e poi tanto la vostra degna Signora, e accettate un abbraccio di congratulazione del vostro affezionatissimo.
     
      Firenze, 26 settembre 1841.
     
      P. S. Nel primo moto del piacere provato alla lettura del vostro libro, vi scrissi questa lettera, e poi non la mandai temendo d'apparire adulatore o esagerato, tanto la mala fede letteraria m'ha messo in sospetto anco di me medesimo. Dopo quasi un mese la ritrovo sul mio tavolino, la rileggo e sento d'avere scritto quello che tuttavia m'è rimasto nell'animo. Ve la spedisco ora tal quale, non senza rimorso d'essermi lasciato vincere da una paura gretta e ridicola degna d'un giornalista ripentito, più che d'un galantuomo che senza ritegno dice all'amico quello che pensa con tutta l'effusione del cuore. Addio.
      72.
      A Giuseppe Giusti.
      Milano 13 Novembre 1841.
      Carissimo Giusti.
      Appena avuta la vostra lettera, appena letta, l'ho portata a mia moglie, e se ci abbia fatto piacere non ve lo dico. Dopo aver lavorato un pezzo sentirsi dire un po' di bravo, bisogna confessarlo, è un gran gusto.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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