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      Appena toccate queste lastre, è stato come mettere l'olio nel lume per la mia salute; ma per otto o dieci giorni di respiro, non sarò tanto bue da lasciarmi pigliare al gancio della speranza che mi ha fatto cilecca tante volte. A Livorno quel vento di prima mano è il vero diavolo dell'inferno per un disgraziato che ha i nervi tirati come corde di violino. Quassù i venti arrivano quasi direi annacquati; e anco quel maladetto soffione affricano, quando ha fatto tanto di spingersi fino a queste cime, è così mutato che pare del luogo. Inforco mattina e sera una cavallina che pare un piccione, e che avvezza a portare un medico, fa l'atto di voltare a ogni viottolo e di fermarsi a ogni uscio, come l'asino del pentolaio. Questi contadini che non guardano più su della bestia, mi dicono da tutte le parti: Oh sor Dottore! Anzi, giorni sono, una donna mi portò nella strada un ragazzo perchè glielo rassettassi, e mi ci volle del buono a persuaderla che io, di dottore, non avevo altro che la cavalcatura. Fino dai primi giorni, l'animale ed io abbiamo fatto il patto di compatirci scambievolmente; e dopo essere andati per quattro o sei miglia del passo che avete sentito al mio polso, come Dio vuole, torniamo a casa tutti d'un pezzo. A questi Colligiani che non hanno fatto l'occhio a una certa armonia tra il cavallo e il cavaliere (armonia tanto necessaria, immaginatevi alle nostre Cascine o ai vostri baluardi) non mi pare che dia nel naso la discrepanza del mio soprabito fiorentino colla sella maremmana; ma pover'a me se inciampassi qualche villeggiante solito a beversi la capitale a tutto pasto!


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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