Una tetra oscurità avviluppava tutta la steppa, mentre sù, nel cielo, si vedevano immobili grosse nuvole grigie.
Una strana macchia biancastra, la luna, pareva volerle squarciare; e non poteva.
Erano arrivati alla diga.
- Ferma! disse Tihon Pavlovitsc, il quale scese dalla carretta e si guardò intorno.
A una quarantina di passi innanzi a lui, si disegnava la fattoria che, nella oscurità della notte, pareva un ammasso scuro, angoloso; a destra, vicino ad essa, c'era lo stagno.
L'acqua nera, immobile, spaventava per la sua immobilità. Tutto, all'ingiro, era silenzioso e ispirava un senso di timore. I salici, sulla diga, avvolti nella densa oscurità, si drizzavano così severi, così duri! Si udivano cadere delle goccie... ad un tratto, il vento passò rapidamente sullo stagno; l'acqua s'agitò come spaventata, e si sentì una specie di lamento, mite, prolungato.... Anche i salici stormirono melanconicamente.
Tihon Pavlovitsc guardò l'acqua, un momento agitata dal vento, calmarsi a poco a poco, sospirò profondamente e si diresse verso la masseria, borbottando:
- La vita.... non è altro che un'oscillazione... un brivido. Furbo chi ci capisce qualche cosa!...
Ma quel mormorio non lo calmava affatto; sentiva di aver torto con tutti e con sè stesso: si fermò, si prese la barba fra le mani, la tirò, dondolò il capo e disse ad alta voce:
- Sei un vecchio diavolo, Tiscka!
- Comandate? rispose nell'ombra la voce di «Pantelei della stazione.»
- Nulla!... lasciami in pace....
I galli cantarono in lontananza.
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Tihon Pavlovitsc Pavlovitsc Tiscka
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