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      Cioè ad una scarsissima comunione de' suoi individui tra loro, nella qual comunione, in quanto ella si stendeva ed esigeva, ciascuno avrebbe cospirato al comun bene degl'individui in essa compresi, e niuno, se non [3778]per caso, gli avrebbe nociuto; onde sarebbe risultata agli uomini una specie di società perfetta in se stessa e relativamente ai subbietti suoi proprii, e perfetta in ordine all'idea ed alle condizioni essenziali della società assolutamente considerata. La quale specie di società essendosi bentosto perduta, niun'altra specie di società perfetta ha potuto mai rimpiazzarla in non so quante migliaia d'anni, nè mai la rimpiazzerà, perchè la natura non si rimpiazza, nè più d'una sola perfezione (cioè del suo naturale stato) può convenire a niuna specie d'esseri creati, e quindi non più d'una felicità.
      Stante la natura generale de' viventi, e massime quella dell'uomo in particolare, una società stretta, la quale è cosa dimostrata che necessariamente produce tra gli uomini la disuguaglianza di mille generi e intorno a mille beni e mali, non può a meno di eccitare e di mettere in movimento, com'ella fa in effetto, le passioni dell'invidia, dell'emulazione, della gara, della gelosia, conseguenze necessarie, o piuttosto specie e nuances dell'odio verso gli altri, naturale ad ogni essere che ami naturalmente se stesso. Or qual cosa è più antisociale di queste passioni? Elle non avrebbero avuto luogo nella società scarsa e larga destinataci dalla natura, il cui uffizio sarebbesi limitato al vero fine d'ogni società, quello di soccorrersi scambievolmente ne' bisogni (che in natura son pochi), e massime in quei bisogni (che sono anche meno) i quali esiggono la cospirazione di più individui, come sarebbe il difendersi dagli altri animali nemici, al qual effetto anche gli animali meno socievoli, si riuniscono e fanno tra loro una società temporanea, che dura quanto il pericolo, come i cavalli si stringono insieme in una ruota, ove ciascuno resta co' piedi di dietro al di fuori, per difendersi dal lupo, ec.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555