Il signor Ignazio Florio si diede all'educazione del piccolo Vincenzo, ed in breve sentì per lui un vivissimo affetto, trovandolo amorevole, garbato, buono, e oltremodo sveglio, perspicace, operoso. Ben presto il fanciullo diventò l'anima della casa, ed in quell'età in cui conviene costringere la mente a pensare e fare qualche cosa, egli sciorinava allo zio certe sue idee, certi suoi disegni, che lo riempivano di meraviglia.
Era la Sicilia a quel tempo un paese stranamente appartato dal mondo, e poco meno si poteva dire della sua metropoli. Pochi erano i Palermitani che uscissero dalla città, pochissimi che viaggiassero per l'isola, e chi si fosse spinto fino a Napoli era guardato con più stupore che non oggi chi abbia fatto il giro del mondo.
Vincenzo Florio s'avvide alle prime che così non si fa nulla di buono in commercio; che giovava sgranchirsi, andare fuori dell'isola scovando nuovi prodotti da smerciare utilmente, e che solo così si sarebbe potuto allargare quel giro d'affari che la sua casa principiava a fare con frutto tra Palermo e le varie città e terre dell'isola. Espose questi suoi disegni allo zio, chiese insistentemente che gli lasciasse fare un viaggio sul continente e gli fu concesso.
Toccava allora i quindici anni. Salpò per Genova sopra un legnetto a vela, poi si recò a Londra.
A quel dì, che gli alcaloidi mancavano, era assai più rilevante che oggi non sia il commercio delle droghe, corteccia peruviana, manna, cassia, ecc. Il giovanetto si persuase in quel suo primo viaggio, che si potevano fare molti più guadagni in Palermo, aggiungendovi il commercio di tutti i coloniali, zucchero, caffè, ecc., e tornato, ribadiva collo zio questo chiodo.
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