«Il dotto accademico interprete, ch'era un abate di circa quaranta anni, grasso, grosso, e di una voce chiara, sonora e piacevole, parlò per tre quarti d'ora continui.
«Incominciò a far l'analisi di tutte le piante fragili, provando che la paglia sorpassa tutte nella leggerezza. Dalla parola paglia passò alla donna, e percorse con non minor velocità che chiarezza il corpo umano, con una specie quasi di raggio anatomico. Fece il dettaglio della sorgente delle lacrime nei due sessi, persuadendo della delicatezza delle fibre nell'uno, e della resistenza nell'altro. Terminò insomma con dolcemente lusingare le signore, che vi si trovavano presenti, attribuendo le belle prerogative della sensibilità, alla debolezza; passando però sotto silenzio quei pianti, che riconoscono una violenza o comando».
Ecco il secondo fattoVentinove anni or sono arrivava in Firenze da una lontana provincia d'Italia un giovinetto che poi ebbe segnalato nome in quella città, cui porta vivissimo affetto.
Pochi giorni dopo il suo arrivo andò alla posta, e la trovò chiusa.
Erano appena le due pomeridiane. Si volse intorno, e domandò al primo venuto che cosa quello significasse; e questo gli rispose con quel purissimo accento toscano che tanto rapiva il nuovo arrivato
- O non sapete! È festa a Fiesole!
Ei faceva ancora le meraviglie come la festa di Fiesole determinasse la chiusura della posta a Firenze, quando gli feriron l'orecchio certe frasi curiose che gli spiegaron l'enigma. In Firenze a quei tempi, si usava dire far l'ora per consumare un certo tempo nell'ozio, e tra il popolo minuto il cessare del lavoro si chiamava far festa, come se il lavoro fosse una pena, un lutto.
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