Apertamente poi biasimava quei filosofi che, per esercitare giovani nella virtù, li adusano a fatiche e tormenti: chi li consiglia a legarsi, chi a flagellarsi, e i più graziosi li consigliano a sfregiarsi con un ferro la faccia. Egli credeva nell’animo doversi piuttosto mettere questa durezza ed insensibilità; e che il saggio che prende ad educare gli uomini, deve aver riguardo ed all’anima, ed al corpo, ed all’età, ed alla prima educazione, per fuggire il biasimo di consigliare cose impossibili. Molti giovani, diceva, sono morti per tali consigli sconsigliati. Io stesso ne vidi uno che avendo assaggiato le amare pruove che gli fecero fare, come si avvenne a udire la verità, volse tanto di spalle ai suoi maestri, e venne da lui, che facilmente lo rimesse.
Ma lasciando costoro, venne a parlare di altre persone, discorse della gran folla di Roma, dell’urtarsi nella calca, dei teatri, del circo, delle statue rizzate ai cocchieri, dei nomi dei cavalli, e del parlare che se ne fa in tutti i chiassuoli. Chè veramente la mania de’ cavalli quivi è grande, e s’è appiccata anche a coloro che non paiono dappochi. Dipoi entrando in un altro atto del dramma, toccò delle usanze che tengono nei mortorii e nei testamenti, dicendo che i Romani una sola volta in vita loro dicono la verità, nei testamenti, per non usarne giammai. E così dicendo ei mi fece ridere di costoro che si fanno seppellire con tutta la loro stoltezza, e lasciano la pruova scritta della loro sciocca vanità, disponendo alcuni di esser bruciati con tutte le loro vesti, o altra cosa avuta più cara in vita; altri che i loro servi ne guardino le tombe; ed altri che le colonne de’ loro sepolcri sieno coronate di fiori; e così rimangono sciocchi anche dopo la morte.
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