Ed in questo imitiamo gli agricoltori, i quali, finchè le piante son tenere e bassette, le appoggiano ad un sostegno, e le ricoprono per difenderle da’ rovai; ma poi che han fatto corpo d’albero, essi ne troncano i rami soverchi, e lasciandole agitarsi e scuotersi all’aria, le rendono più fruttifere. Primamente adunque noi destiamo l’anima dei giovani con la musica e l’aritmetica; insegniamo loro a scrivere, e a leggere ad alta voce: e come sono più grandicelli, recitiam loro le sentenze dei sapienti, i fatti antichi, e discorsi morali, ornandoli di versi e cantando, acciocchè essi se ne ricordino meglio. Ascoltando quelle virtù e que’ fatti illustri, essi tosto s’infiammano di bello ardire, e cercano d’imitarli, per essere dipoi anch’essi cantati ed ammirati dai posteri. Questo effetto spesso han prodotto tra noi i canti d’Esiodo e di Omero. Quando poi per l’età entrano in tutti i diritti di cittadini, e debbono porre le mani nelle faccende pubbliche.... Ma forse questo non c’entra: io non m’ero proposto di parlare come noi formiamo gli animi loro, ma per qual fine crediamo doverli esercitare in queste fatiche. Onde mi taccio da me, senza aspettare che me lo imponga il banditore, o tu areopagita, il quale per tua bontà forse m’hai sofferto chiacchierare tanto a vanvera.
Anacarsi. Dimmi, o Solone, per quelli che non dicono tutto il necessario nell’Areopago, ma tacciono alcuna cosa, è stabilita qualche pena?
Solone. Non vedo perchè mi dimandi questo.
Anacarsi. Perchè tu tralasci ciò che più mi piaceva di udire intorno all’anima, e vuoi parlarmi del meno necessario, dei ginnasii, e delle fatiche del corpo.
| |
Esiodo Omero Solone Areopago
|