La cetra stessa era un miracolo di bellezza o di ricchezza, tutta d’oro massiccio, ornata di gemme, e di pulitissimi intagli, tra quali v’erano cesellate le Muse e Apollo e Orfeo; gran maraviglia a vedersi. Quando finalmente venne il giorno del cimento, furono tre: ed Evángelo sortě il secondo a cantare, dopo Tespi tebano, che non si portň male. Esce fuori adunque tutto sfolgorante di oro, di smeraldi, di berilli, e di giacinti, ed in vestone di porpora che intessuta con oro piů bella splendeva. Avendo cosě abbagliato il teatro, e pieni di mirabile aspettazione gli spettatori, quando fu al dover cantare e citarizzare, comincia una ricercata discorde e scomposta; spezzansi tre corde ad una volta per premere troppo la cetra; poi si fa a cantare con una vocetta cosě stonata e sottile, che tutti gli spettatori scoppiarono a ridere, ed i preposti dei giuochi, sdegnati di quel suo ardire, lo fecero a frustate cacciar del teatro. Allora piů ridicolo parve il dorato Evángelo, piangente, tirato dai frustatori per la scena, insanguinato le gambe dalle frustate, e raccogliente di terra le gemme della cetra, cadute perchč le frustate toccavano anche a lei. Poco appresso a lui esce un Eumelo di Elea, avente una vecchia cetra in mano con i bischeri di legno, e indosso una veste che insieme con la corona valeva appena dieci dramme, ma questi avendo cantato bellamente, e citarizzato secondo le regole dell’arte, fu gridato vincitore; ed ei derise Evángelo, che aveva fatta quella vana pompa della cetra e di quelle gioie.
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