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      Ma il più terribile di tutti i rettili che l’arena nutrisce, è il dipsa, serpentello non molto grande, simile ad una vipera, che s’avventa e morde e lascia un veleno denso, che subito arreca dolori incessanti, che brucia, e imputridisce, e fa che ardano e gridino, come quelli che cascano nel fuoco. E la cosa che più li travaglia e li strugge è una sete grandissima, onde il dipsa ha preso il nome:(70) ed il mirabile è che quanto più si bee, più si vorria bere, e la sete più cresce, e non si spegnerebbe beendo tutto il Nilo e l’Istro; anzi l’acqua più l’accende, come l’olio sul fuoco. Dicono i medici la cagione esser questa: essendo il veleno denso, poi che si scioglie nell’acqua, diventa più scorrevole, perchè fatto più liquido, e più si diffonde.
      Io, a dire il vero, non vidi mai nessuno che patì questo, e prego gli Dei che io non vegga mai un uomo così straziato: e buon per me che non messi mai piede in Libia; ma udii un epigramma, che un mio amico dissemi di aver letto egli sul sepolcro d’un uomo così morto. Ei mi contava che andando di Libia in Egitto dovette fare la via rasente la gran Sirti, perchè non ce n’è altra. Quivi s’abbattè in un sepolcro presso al lido, proprio dove batte il mare; e v’era rizzata una colonnetta, che spiegava quella specie di morte. V’era scolpito un uomo, come dipingono Tantalo nel palude, che attigneva acqua, certamente per bere; il serpente dipsa gli sta avvinghiato intorno al piede, e alcune donne con le idrie che tutte insieme gli versano acqua per farlo bere: vicino gli stanno alcune uova, che sono di quegli struzzi, di cui ho detto che i Garamanti vanno a caccia.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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