Vorrei solamente che non mi mancasse mai il fiume che viene da voi, non passasse questo favore con cui mi ascoltate, nè poi io avessi a rimanere con la bocca aperta ed ancora assetato; acciocchè avendo io tanta sete di voi, potessi sempre bere liberamente. Chè, secondo il savio Platone, il bello non sazia mai.
LXIV.
UNA CHIACCHIERATA CON ESIODO.
Licino. Sì, o Esiodo: che tu sei un ottimo poeta, e che dalle Muse ricevesti questo dono insiem con l’alloro, tu stesso lo dimostri nelle tue poesie, le quali sono tutte ispirate e sacre, e ci fanno credere che sia così. Ma ti si può fare una difficoltà. Tu hai detto di te stesso, che per due cagioni ricevesti quel divino canto dagl’iddii, per celebrare ed inneggiare il passato, e per divinare il futuro: e l’una cosa hai benissimo adempiuta, contandoci l’origine degl’iddii fin da quegli antichi il Caos, la Terra, il Cielo ed Amore, e ancora le virtù delle donne, ed avvertimenti su l’agricoltura, e parlandoci delle Pleiadi, e qual è stagione d’arare, di mietere, di navigare, e tante altre belle cose: l’altra poi, che era più utile alla vita, e dono veramente divino, dico la predizione dell’avvenire, non l’hai toccata affatto, ti sei del tutto scordato di questa parte, e in nessun luogo delle tue poesie hai imitato nè Calcante, nè Telemo, nè Poliido, nè Fineo, i quali non ebbero tanto bene dalle muse, e pure profetavano e davano oracoli a chi ne voleva. Onde una delle tre, e sempre colpa hai; o hai detto una bugia (benchè sia amaro a dire) che le muse ti promisero di poter predire il futuro: o ti diedero come ti promisero, e tu per invidia nascondi quel dono, e te lo tieni in saccoccia, e non vuoi farne parte a chi ne ha bisogno; o pure hai scritte molte profezie, ma non hai voluto mai pubblicarle nel mondo, serbandole per non so quale altro tempo.
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