A che sformare le labbra in sulla fine di una erotica tournée, per eccesso d'indagini, malcontenti della vita, inquieti di riparazioni affrettate? La funzione sociale del disgregamento continua sotto gli applausi delle folle pasciute: le mani inguantate, che battono l'una sull'altra, sono quelle che apprestano fuoco all'esca. Non turbiamo la gioia. Molti muoiono nell'ebbrezza e non sospettano di agonizzare: qualcuno nota e spia dalle porte socchiuse: crede che, per ora, la sua decisa presenza sia inutile ed attende.
[In «L'Italia del Popolo», a. XI, n. 518, 5-6 giugno 1902 e a. XI, n. 519, 6-7 giugno 1902.]DI UN NUOVO POETA
Il nuovo poeta si chiama Guido Verona. Imparate questo nome. Egli si è infinto nella prefazione d'essere uno scultore, e come scheggiati di una statua percossa dà al pubblico i Frammenti di un Poema.
Ma si è giudicato male nella similitudine; egli non è artista, è spugna; l'opera sua non è poema, ma impronta di carta asciugante, passata e non mai rinnovata pei mille calepini della poesia patria; i quali, del loro inchiostro umido, l'hanno macchiata a rovescio colle loro parole.
È spugna: un corpo molto permeabile ed assai assorbente. Ha per migliore proprietà d'imbeversi senza distinzione e di qualunque liquido che le sia posto a contatto; dall'inchiostro al sangue.
Spesso riaggruma insieme detriti e frusti di mensa e di tavola anatomica. Il pizzicagnolo l'adopera di preferenza per strofinaccio del suo banco; quando, a ripulirlo dalle bricciole di salsamentaria lasciate dallo spaccio cotidiano, pulisce il legno e la pietra coll'aceto nemico delle mosche, soffregando.
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