Non occulta che per ravvivar la composizione abbia fatto scherzosamente giuocare il marchese Maruzzi, ed abbia nominato, per servire alla storia, l’Ispettore del satellizio Tolomei, ed il Commissario del Sestiere di Castello, che biasimò perchè aveva commesso alla forza armata di tirar di moschetto sull’elefante, quasichè non si sapesse col naturalista Buffon che le palle di fucile non penetrano nella pelle durissima e ripulsante di questo animale. Non nasconde di aver fatto uso dei veri e proprî nominativi allorchè parlò delle sensazioni naturali dell’elefante, ma si scusò col dire che queste licenze poetiche (così da lui nominate) potevano essere, qualora si rifletta alla composizione affatto bernesca ed in vernacolo veneziano, destinata ad una lettura particolare tra un circolo di persone liete ed amiche, e tra la gioia della tavola, e qualora si sappia ch’era sua intenzione che ciò seguisse alla presenza dello stesso Maruzzi, che come uomo assai spregiudicato in questa sorta d’affari, non se ne sarebbe, è certissimo, punto offeso. Accorda di aver affidata alla lettura questa sua composizione a più amici, di averla letta fra le domestiche sue pareti, ed interrogato ove tenea l’originale, rispose, non senza cadere in contraddizione, di averlo consegnato al proprio agente Pietro Groggia, partito un mese fa, circa, per Bologna, affinchè lo comunicasse ai propri fratelli, ivi domiciliati: protestò che non fece alcuna copia, e che la diffusione ben sensibile di questa poesia doveva attribuirsi unicamente all’indiscretezza ed all’abuso di qualche suo amico.
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