X. Epistola. - Lo ringrazia e nello stesso tempo lo morde con frizzi satirici per aver tolto dal mondo perpetuamente un carme, che volea Buratti dirigere all’autore, e ciò a mercè delle di lui propizianti Epistole. Allude ad un pranzo dei conti Valmarana, presso cui a commensali fra gli altri si trovavano l’Autore ed il Buratti. E siccome quest’ultimo è appassionato pel violino, ed anzi è la sola cosa dopo la poesia che lo diverte estremamente, così l’autore descrivendo gli applausi quando lo suonò in quell’incontro, gli prodiga tanti elogi, che decisamente con somma ironia concepiti, potrebbero destare il suo risentimento, e forse esporlo alla derisione de’ suoi amici, pubblicato che fosse il troppo spinto ridicolo.
XI. Epistola. - Seguita a parlare della bravura del Buratti nel suonare il violino, e nientemeno lo paragona alla lira d’Apollo. Sono notevoli questi versi:
Te beato che tanto del paternoCenso redasti, e di per te la tua
Roba sì accorto e provvido ministriChe non hai duopo con l’archetto in mano....
Sul Molo e in Piazza di comprarti il vitto.
Fa lode poi l’autore ad un sonetto che il Buratti compose per le nozze Papadopoli, ma sempre in istile caricato.
XII. Epistola. - Lo ringrazia per l’ospitalità accordatagli in sua casa, e per l’imbandita mensa. In questa Epistola non vi sarebbe cosa a marcare, se l’Autore non tornasse nuovamente a discorrere sul violino del suo ospite.
Dopo quest’analisi, io non sarei d’avviso per la stampa delle Epistole di Jacopo Mantovani ove non si credesse di togliere da ciascuna i versi che meritassero censura, sebbene essendone esse ripiene, poco resterebbe di buono, e prezzo dell’opera sua non avrebbe l’autore facendole imprimere.
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