» Ma Perpetua gli spiegò tosto che quegli erano evidentemente uomini che vegliavano alla sicurezza del castello, e di quelli che, come si vedeva, andavano ivi a rifuggirsi.
«Ohimè! ohimè!» disse Don Abbondio: «vedo che qui si voglion fare delle pazzie; appunto quando più si vorrebbe stare zitti, rannicchiati senza né meno fiatare, farsi scorgere. Basta; vedremo: se fanno pazzie per tirarsi addosso la burrasca, dei monti ce n'è, e i precipizj non mi fanno paura: quando si tratti di salvare la pelle, ho coraggio anch'io quanto chi che sia, andrei in mezzo al fuoco».
Dette sotto voce queste parole Don Abbondio proseguiva lentamente, guardando con attenzione a quegli armati, e cercando di comporre il volto alla indifferenza, e di non lasciar trasparire il suo pensiero che diceva dentro: - Scommetterei che questo gradasso ha caro che sia venuto un flagello così orribile per avere il pretesto di fare un po' di rimescolamento. Oh che gente! Oh che gente!
Del resto le cose erano quivi come Perpetua le aveva immaginate. Al castello del Conte era rimasta unita una antica opinione di sicurezza e di potenza; e i nuovi costumi del signore ne avevano cancellata affatto l'idea di oppressione e di terrore; dimodoché la gente del contorno dalla banda del Milanese, vi accorreva come ad un asilo forte e pietoso nello stesso tempo. Il Conte lieto di esser un oggetto di fiducia a quei deboli che aveva tanto spaventati ed oppressi, raccolse tosto i primi che si presentarono. Ma un tal uomo non avrebbe potuto considerare la sua casa come un asilo disarmato, un nascondiglio di paura, né starsi colle mani in mano quando ad ogni momento poteva presentarsi un'occasione di menarle santamente.
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