Disse la donna: - Oimè, ben mio dolce, che io non posso, ché questo uscio fa sì gran romore quando s'apre, che leggermente sarei sentita da fratelmo, se io t'aprissi: ma io voglio andare a dirgli che se ne vada, acciò che io possa poi tornare ad aprirti.
Disse lo scolare: - Ora andate tosto; e priegovi che voi facciate fare un buon fuoco, acciò che, come io enterrò dentro, io mi possa riscaldare, ché io son tutto divenuto sì freddo che appena sento di me.
Disse la donna: - Questo non dee potere essere, se quello è vero che tu m'hai più volte scritto, cioè che tu per l'amor di me ardi tutto; ma io son certa che tu mi beffi. Ora io vo: aspettati, e sia di buon cuore. - L'amante, che tutto udiva e aveva sommo piacere, con lei nel letto tornatosi, poco quella notte dormirono, anzi quasi tutta in lor diletto e in farsi beffe dello scolare consumarono.
Lo scolare cattivello, quasi cicogna divenuto sì forte batteva i denti, accorgendosi d'esser beffato, più volte tentò l'uscio se aprirlo potesse, e riguardò se altronde ne potesse uscire; né vedendo il come, faccendo le volte del leone, maladiceva la qualità del tempo, la malvagità della donna e la lunghezza della notte insieme con la sua simplicità: e sdegnato forte verso di lei, il lungo e fervente amor portatole subitamente in crudo e acerbo odio transmutò, seco gran cose e varie volgendo a trovar modo alla vendetta, la quale ora molto più desiderava, che prima d'esser con la donna non avea disiato.
La notte, dopo molta e lunga dimoranza, s'avvicino al dì e cominciò l'alba ad apparire; per la qual cosa la fante della donna ammaestrata, scesa giù, aperse la corte, e mostrando d'aver compassion di costui, disse: - Mala ventura passa egli avere che iersera ci venne! Egli n'ha tutta notte tenute in bistento, e te ha fatto agghiacciare; ma si che è? portatelo in pace, ché quello che stanotte non è potuto essere sarà un'altra volta: so io bene che cosa non potrebbe essere avvenuta che tanto fosse dispiaciuta a madonna.
|