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      Ed eccovi messi sulla strada delle formole regolari e logiche d’invitare. Sì; trattandosi di amici e persone di confidenza potete prendere per pretesto d’invito un qualunque piatto non commune che intendiate di dare. Per esempio: avete delle lingue di Zurigo? o dei fagiani della Stiria? o un porcellino di Praga? o un pasticcio di Strasburgo? Si invita a venire ad assaggiare o il pasticcio, o il porcellino, o il fagiano, ecc.: ben inteso che, se aveste anche tutte queste cose insieme, ne nominiate una sola, e non mi anticipiate in mezzo alla strada o su di un viglietto la lista delle vivande. Se è personaggio di qualche importanza e soggezione, pregatelo a farvi l’onore di favorirvi a pranzo il tal giorno. Se il pranzo è dato espressamente per lui, pregatelo ad accettare un pranzo. Che se la parola pranzo vi sembra, come è difatti, alquanto alta e promettitrice, non crediate di sostituirle un invito a desinare, giacchè quest’altra è bassa, alludendo solo al soddisfacimento di un materiale bisogno, qual’è l’azione del mangiare.
      Ma il modo d’invitare più polito e nobile, perchè accenna esclusivamente al piacere morale della convivenza, si è quello di pregare a tenervi compagnia il tal giorno; formola universalmente conosciuta nella buona società per sinonimo d’invito a pranzo. Che se mai aveste qualche dubio e inquietudine di non essere intesi sul valore della frase, soggiungete verso le cinque ore, che è l’ora commune di pranzare. Quando poi si trattasse proprio di un gonzo cascato dalle montagne, dite chiaro e tondo, a scanso d’ogni equivoco, che si anderà a tavola alle cinque ore.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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