E giungendo a un golfo detto Coiba, dove era una terra con un cacique nominato Careta, trovò che queste genti parlavano di lingua molto diversa dagli abitatori dell'isola Spagnuola e di quelli che stanno nel porto di Cartagenia; perché chiamavano il suo signore chebi, over tyba. Dove essendo stati alcuni giorni, volse de lí partirsi e seguir il viaggio suo. Navigando adunque pur sempre per ponente lasciò Uraba a man sinistra, e se n'andò verso Beragua, come al suo luogo si dirà.
Al capitan Fogheda, qual era ferito, in questo tempo venne un navilio dall'isola Spagnuola con vettovaglie, il quale ricreò alquanto lui e li compagni ch'eran molto affamati; pur essendo quelle dapoi consumate, assalendogli la fame, per non potersi aiutar in luogo alcuno vicino, cominciorono li compagni a sollevarsi contra di lui, dicendo che morivano di fame e non volevano piú star in quel luogo pasciuti di parole, perché lui diceva loro che aspettava il baccalario Anciso, il quale, quando lui si partí dell'isola Spagnuola, aveva già caricato una nave di vettovaglie con ordine di venirgli subito drieto. Costoro adiratisi deliberavano tuor per forza duoi brigantini, e montati sopra quelli ritornarsi alla Spagnuola. La qual cosa intesa, il prefato Fogheda chiamatigli a sé disse che voleva andar lui in persona, cosí ferito, a far venir il ditto baccalario Anciso con vettovaglie. E che stessero quieti per 50 giorni, che prometteva loro andar e ritornare, e che guardassero con diligenza la fortezza che lui aveva fabricata, lasciandogli per lor capitano un gentiluomo nominato Francesco Pizaro, con 60 uomini, che tanti n'eran rimasti delli 300, perché gli altri tutti o di fame o in zuffe d'Indiani erano morti.
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