Le acque del Mincio, uscite così limpide e tranquille dal Garda, occupano un vasto spazio largo 700 metri e lungo 12 chilometri con dighe e terrapieni che dividono il lago superiore e principale dal lago di mezzo e dall'inferiore, agevolando le comunicazioni, profittando del dislivello per dar moto a molini e brillatoi, ma troppo spesso impaludando sugli orli e diffondendo febbri miasmatiche che impedirono lo sviluppo della città, assai più ricca, celebre e popolosa nei tempi fiorenti dei suoi Gonzaga.
Tutte le acque di questi laghi, fuor di pochi tributari dell'Adige, scendono per numerosi affluenti al Po. Il gran fiume entra in Lombardia fra Candia e Casale, ne segue il confine con l'arco che lambe le colline di Valenza, taglia a mezzo la provincia di Pavia e corre poi, solo per breve tratto, in sul confine lombardo-emiliano sino presso ad Occhiobello. A valle del suo confluente col Ticino e più sotto quello dell'Adda, il Po, che trasporta già verso il mare i cinque sesti delle acque del suo bacino, ha completamente perduto il carattere torrentizio, non trascina più ghiaie, e la sabbia del suo letto è minutissima polvere. Nessuna elevazione sulle sue rive, neppure un altipiano d'antichi terreni di trasporto, salvo il piccolo rialzo di San Colombano: il fiume potrebbe liberamente errare per la campagna, se non fosse trattenuto a dritta e a manca da argini, che dopo le dighe d'Olanda sono in Europa il sistema più completo e razionale di lavori di difesa fluviale. È probabile che le rive di questo fiume fossero per tal modo difese contro le piene prima del tempo degli Etruschi, perchè il poeta Lucano descrive le dighe come se già esistessero da tempo immemorabile.
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