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      È a notare però, che nè il senatore, nè il capitano, nè il vicario non avean fatto che ascoltare, e con aspetto di sapienza e di prudenza respingere le insinuazioni de' parenti e degli amici, terminando sempre i discorsi coll'intercalare obbligato: non si farà che la pura giustizia, e cogli intercalari accidentali: bisognerà vedere, bisognerà sentire; non si può aver riguardo a nessuno fosse il padre, fosse la madre. Ma in conclusione s'eran lasciati penetrare; perchè gli uomini bisogna che paghino il tributo degli uomini, e nelle questioni di sangue e di parentado e di ceto e d'onore, quando le instituzioni non sono imposte da una giustizia che sia veduta da tutti i lati e in pubblico, il sentimento provoca il sofisma, e il sofisma l'arbitrio, e tutto a nome del giusto e del retto, e tutto senza che l'onestà dell'uomo prevarichi, perchè non è sempre questione di cuor guasto, ma di testa conturbata.
      Crediamo sia inutile di dire come, nel secolo passato, nel sistema della giurisprudenza pratica, e segnatamente del così detto processo criminale, non si fosse fatto alcun passo oltre il secolo XVII. (Ci riferiamo a questo secolo, perchè i lettori, nella disquisizione legale di Manzoni intorno alla colonna infame, avran potuto farsi una idea della condizione della giurisprudenza a quel tempo). Non v'era un codice scritto ben discusso, ben formulato e ben determinato in nessun paese. Le leggi statutarie e il diritto romano e le varie interpretazioni dei legisti costituivano tutto il capitale giuridico tanto di un dottor collegiale, come di un senatore.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Manzoni