Noi, che qui cerchiamo la teoria della virtù, e quindi dobbiamo anche esprimere astrattamente l'intimo essere della conoscenza, che le serve di base, non potremo tuttavia fornire in tale espressione quella conoscenza in sé, bensì esclusivamente il suo concetto. Sempre dovremo partire dalla condotta, sol nella quale essa diviene visibile, e alla condotta riferirci come alla sua sola espressione adeguata, che noi possiamo appena chiarire e spiegare, ossia formulando astrattamente ciò che propriamente in lei accade.
Ma prima che noi, in contrasto con la trattazione fatta del malvagio, veniamo a trattare di ciò ch'è propriamente buono, ci tocca accennare, come grado intermedio, alla semplice negazione del malvagio: alla giustizia. Che cosa siano giusto e ingiusto, abbiamo sufficientemente spiegato: potremo quindi dire ora in breve, che colui il quale volontariamente riconosce e rispetta quel confine puramente morale, anche dove nessuno stato o altra forza lo difende, e perciò, secondo la nostra spiegazione, non arriva mai nell'affermazione della propria volontà fino a negar quel che si palesa in un altro individuo – colui è giusto. Non infliggerà dunque dolori ad altri, per accrescere il suo proprio benessere: ossia non commetterà nessun crimine, rispetterà i diritti, rispetterà il bene altrui. E noi vediamo, ora, che per un tale uomo giusto, il principium individuationis non è già più, come per il malvagio, un'immobile parete divisoria; vediamo ch'egli non afferma, come il malvagio, solamente il suo proprio fenomeno di volontà, e tutti gli altri nega; che gli altri uomini non sono per lui semplici larve, la cui essenza sia affatto diversa dalla sua.
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