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      Di voli fino alle porte del Paradiso, quando si tratta di teorie; di cadute fino alla polvere della terra, quando si viene alla pratica! Ma suona il campanello per il tè. Andiamo. Ora non mi direte più ch’io non ho saputo mai, neppure una volta, ragionare sul serio. —
      A tavola Maria fece allusione alla storia della vecchia Prue.
      — Suppongo, cugina, — disse — che ci crederete tutti barbari.
      — Io credo che sia stato un atto barbaro, — rispose miss Ofelia — ma non per questo vi considero tutti barbari.
      — Ebbene, — riprese a dire Maria — mi accerto sempre più che alcune di queste creature sono del tutto insopportabili. La loro perversità non cessa se non con la loro esistenza. Per me, io non provo verso di esse ombra di simpatia. Se costoro si conducessero bene, tali cose non succederebbero.
      — Ma — disse Evangelina — quella povera vecchia era troppo infelice; per questo appunto ella beveva troppa acquavite.
      — Eh, via! È forse una scusa cotesta? Anch’io sono spesso infelice; — soggiunse con aria pensosa Maria — ho traversato, credo, prove assai più dolorose che alcuna delle sue. La troppa malvagità di questi negri è la sola causa dei loro mali. Mi ricordo che mio padre possedeva una volta uno schiavo così neghittoso e poltrone, che fuggiva unicamente per non essere costretto al lavoro; egli si teneva celato nelle paludi vicine rubando e facendo ogni sorta di cose orribili. Costui fu ripreso e frustato cento e cento volte, ma senza alcun pro. L’ultima volta, si trascinò di nuovo, quasi morente, nella palude, dove fu ritrovato morto; ed egli non aveva niuna giusta ragione di fare a quel modo, perché gli schiavi di mio padre erano trattati sempre benissimo.


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La capanna dello zio Tom
di Harriet Beecher Stowe
Editore Salani Firenze
1930 pagine 624

   





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