— Or bene, — diss’ella appendendo la sua lanterna a un piccolo chiodo che aveva piantato nel fianco della cassa — ecco la nostra casuccia per ora! Vi piace?
— Siete sicura che non verranno a frugare in soffitta?
— Vorrei un po’ vedere Simone Legrée montar qui! — fece Cassy. — No, certo; egli sarà lieto di tenersi al largo. In quanto ai servi, preferirebbero esser fucilati piuttosto che venire a ficcare il naso quassù. —
Emmelina, un po’ rassicurata, si abbandonò sopra il guanciale.
— Che volevate dire, Cassy, quando avete minacciato di uccidermi? — chiese ella ingenuamente.
— Volevo impedirvi di cadere svenuta, e mi è riuscito. Ora, Emmelina, bisogna prendere la risoluzione di non svenire, checché succeda; è una cosa di cui non c’è punto bisogno. Se io non vi avessi trattenuta, noi saremmo di nuovo nelle mani di quello sciagurato. —
Emmelina si sentì un brivido di terrore.
Ambedue rimasero un po’ in silenzio. Cassy prese a leggere un libro francese; Emmelina, vinta dalla stanchezza, cadde dal sonno e dormì per alcuni istanti. Fu poi ridestata da clamori e da grida, dallo strepito dei cavalli e dall’abbaiar dei cani. Tremò tutta, e si sollevò mettendo un grido soffocato.
— È la caccia che torna; — disse Cassy freddamente — nulla abbiamo da temere. Guardate da quest’abbaino. Non li vedete tutti laggiù? Simone vi ha rinunziato per questa notte.
Il suo cavallo s’è tutto infangato nella palude. Anche i cani tengono le orecchie basse. Ah, mio bel signore, è questa una partita che bisognerà ricominciare più volte!
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