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Il comandante del forte di Civitella era un tal Luigi Ascione, maggiore borbonico: era quegli che avea dato ordine che si chiudesse la fortezza, stabilito un termine perentorio fino a ventun'ora per chi volesse rimanere dentro o volesse andarsene fuori. Ne conservò il comando, finché non s'internò nella piazza la compagnia dei gendarmi di Teramo, comandata dal capitano Del Giovine, il quale, come ho detto, aveva il grado di capitano, ma un bel dì fu promosso maggiore da Francesco II. e con lui furono promossi gli altri uffiziali e i sott'uffiziali. E siccome in tempo di guerra un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene, così del Giovine, divenuto maggiore, assunse a sé il comando della fortezza e resisté finché potette. Ma visto che non c'era da fare, un giorno disse di voler tentare una ricognizione intorno la fortezza; ed uscito con una scorta da una porta a settentrione del forte, fece fermare i suoi soldati in un punto dove la strada descriveva un gomito, e non visto si allontanò, si calò di corsa per quei dirupi e si presentò ai piemontesi. Tornò quindi di nuovo a comandare Luigi Ascione, al quale il capo tentennava tra il sì ed il no, se dovesse ancora resistere, cioè, o cedere, una volta che tutto il reame di Napoli era caduto in mano dei liberali, e l'istessa fortezza di Gaeta, dove s'era rifugiato Francesco II. avea capitolato. Egli pensava di parlamentare e s'era rinchiuso in sua casa situata dentro il forte. I soldati, che erano appena in numero di 300 veterani, 40 artiglieri comandati da un tenente, ed una compagnia di gendarmi, i soldati, dico, avean trapelato qualche cosa e borbottavano: di più li aizzava alla resistenza il sergente Francesco Messinelli, un pessimo arnese che fu acclamato comandante. |