Questi dispose immantinente i difensori della piazza in quadrato, e mandò pel maggiore, facendogli aprire la porta di casa a viva forza. Cacciatolo in mezzo ai soldati, gli fe' conoscere come era volontà di tutti resistere, pena la vita. Il pover'uomo capì l'antifona, e non osò opporsi, ma lasciò, che le cose corressero per la loro china, perché se egli era il comandante di nome, Messinelli lo era di fatto, anzi questi per spavalderia, fece postare un cannone innanzi la casa del maggiore, con la bocca rivolta contro l'uscio di casa.
Il giorno susseguente a questi fatti il Messinelli divisò una sortita, profittando, che la guarnigione d'assedio fossesi in parte allontanata. Lo scopo di questa sortita era di portare dentro il forte le statue dei santi, ch'erano nel convento: per cui si uscì processionalmente a due a due, come se fossero dei frati.
Facea parte della processione un tal Supino di Bonaventura, soprannominato Supinone, capo brigante, in origine contrabandiere o negoziante ambulante, che fungeva da spia di polizia, e divideva il comando con Messinelli.
Nel convento non v'erano che il sottotenente dei bersaglieri nomato Cipolla e quattro soldati malati. Il sottotenente, visto che era inutile la difesa, per aver salva la vita, e per non capitar prigioniero, saltò da una finestra, e si ritrasse nel colle dei Galli. Dei quattro malati uno si salvò sulla torre, ritirando una scala a piuoli, per non esser preso, e gli altri tre furono legati, e per opera specialmente di Supinone, orrendo a dirsi, bruciati vivi.
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