E tornando alle sue relazioni con noi, fu questa religione che egli cercò sempre d'istillare nell'animo nostro, mostrandocene la ragionevolezza, la bellezza e la divinità. Non ce la insegnò, secondochè pur troppo usa nei nostri paesi, come una semplice serie di pratiche a cui non van compagne le opere: ma ci disse dover essere essa la regolatrice dei pensieri e delle azioni, ce la diede come la guida della vita presente, per essere poi il premio della futura. Ci confessò che in tutto il tempo della sua vita, con tante letture, con tanti scandali veduti, con tante bestemmie udite, e dopo aver visto il trionfo di tanti iniqui e l'oppressione di tanti virtuosi, mai e neppure per un istante gli fosse sorto un dubbio solo su la verità di questa religione. Quando ci vide inclinati allo studio ci ammonì che a base della scienza dovevamo mettere il timore di Dio: Initium sapientiae timor Domini (2).
Ci prevenne che nel mondo la professione di questa religione ci avrebbe procurato odii, dispregi e maledizioni; ma ci additò insieme le benedizioni che in compenso Dio ci avrebbe date; che il mondo passa ed i giudizi suoi sono sempre fallaci e mutati ma quegli che non passa mai ed il cui giudizio mai muta, è Dio; e perciò ci ripeteva con san Paolo: Jesus Christus heri, et hodie: ipse et in saecula. (3) E se la professione della legge di Dio ci avesse procurato odio, derisione e maledizione dal mondo, ci ricordò essere questo il contrassegno da cui Gesù Cristo aveva detto sarebbero riconosciuti i suoi seguaci; questo odio e questa persecuzione averla Egli ottenuta pel primo, ed averla promessa ai suoi discepoli. Doversi quindi sopportare con coraggio ed allegrezza, e sfidarla anzi, e saperla meritare, e farla crescere, seguitando fermi nella via del bene, ed insieme compatendo quei traviati, pregando Dio per loro, e facendo loro del bene, quando ne capitasse l'occasione.
(2)
Psal. CX, 10.
(3)
Ad Heb., XIII, 8.
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