Compiuta in quell'anno, 1860, la stagione musicale a Parigi, volle tornare a Milano, città che fu sempre in cima a tutti i suoi pensieri e da lui teneramente ed intensamente amata fino all'ultimo anno della sua vita. A Milano seppe che governava la città Massimo d'Azeglio, e mosso dal desiderio di conoscere un uomo, che della sua fama aveva riempita tutta Europa, volle essergli presentato dal nipote di lui, conte Puliga, allora segretario della Legazione Piemontese a Parigi ed al Braga molto affezionato ed amico.
“Fui ricevuto da Massimo d'Azeglio (così dice) con una gentilezza degna di quel grand'uomo e passai con lui un'ora deliziosa. Tra le altre cose, con tristezza, mi disse: 'Caro Braga, i militari mi chiamano codino, mentre io insegnai a tutti gl'italiani a compitare i nomi Italia, indipendenza e libertà'. A Milano trovai il Piave e con quella febbre politica, che tutti avevamo, m'innamorai di un soggetto napoletano”.
“Il soggetto era questo: non avendo i Napoletani voluto mai subire l'Inquisizione, si ribellarono al governo Spagnuolo, e con a capo Mormile, uccidono colui, che doveva istituirne il Tribunale, sull'altare mentre celebrava la messa. Il mio primo errore fu quello di scegliere per il teatro un soggetto politico, mentre allora la politica era un argomento trattato da tutti, ma non nel teatro; nei giornali, nelle pubbliche riunioni, in piazza. Leggermente, ripeto, lo scelsi ed accettai, affidandomi per il libretto a Piave, che avevo rivisto, non senza mio compiacimento, a Milano, e lo musicai; ma quella musica, quantunque avesse l'impronta italiana, che io non abbandonai mai nelle composizioni, aveva quà e là forme troppo avanzate per quel tempo; tanto che Primo Levi, dieci anni dopo, ricordando nella Riforma, in un articolo pieno di lodi per me, il Mormile, scrisse, tra le altre cose, che quell'opera non poteva avere un successo maggiore di quello che ebbe, perché il pubblico milanese non era ancora maturo per approvare nel loro valore quelle forme, che uscivano dall'ordinario. (15)
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Lo stesso Florimo, parlando del Mormile nell'op. c. scrisse: “Non conoscendo
noi la nuova maniera di comporre, che egli introdusse in questo lavoro, non
possiamo con cognizione di causa discorrerne”.
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