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Si lamenta con amare parole della tristissima sua sorte, e specialmente di non potere più toccare il violoncello, che a Richemont, quando fece il giro artistico dell'America, gli aveva meritato il nome di King violoncellista; che esso taccia e debba tacere fino all'ultimo suo respiro. In tanta sventura, in questo che è il periodo più crudele ed orrendo della sua vita, quando il male non gli dava tregua e le sue sofferenze lo rendevano tremante sì da desiderarsi la morte, come il termine di una triste vita, solo conforto gli era l'affetto vivo e sincero degli amici rimastigli fedeli. Per distrarsi, rileggeva Pellico, Mazzini, Giusti, Manzoni, suoi libri prediletti e su di essi faceva lunghi sfoghi e commenti, che s'informavano alle condizioni sue del momento, melanconicamente esclamando: “Perché la sincope non mi ha tolto anche la memoria e l'intelletto? Così avrei sofferto meno! Ora non più violoncello, non più pianoforte, non più composizione, non più arte! Che sono e che farò? Povero Braga!”. Terribili parole. In quei momenti chiedeva soccorso alla musica; essa solo valeva a calmarlo, essa sola formava la sua completa felicità. |