Queste visite de' suoi nepoti, le loro lettere ed i dolcissimi ricordi della sua famiglia, come si esprime, lo facevano delirare dal piacere; le considerava quale un compenso a' suoi mali, come un grande giubilo per lui; un raggio di sole tra le tenebre della sua vita e spesso gli facevano versare lagrime che lo sollevavano.
In questo tempo fu visitato dal sig. Giulio Bolza, redattore del periodico Ars et Labor, il quale si rese interprete dei vivi sentimenti di affetto e di stima e porse fervidi auguri di subita e completa guarigione all'insigne Maestro da parte della benemerita Casa Ricordi, e, in particolar modo, di Giulio, a lui congiunto da antica e non mai mutata o affievolita amicizia. Al Bolza egli disse queste tristissime parole: “Io ora non sono un uomo, sono una cosa! Non faccio più niente, e più niente posso fare! Oh il mio passato! Erano quelli altri tempi per me! Allora non ero una nullità come oggi!”. Ed alla domanda — come si fosse assuefatto, subito dopo la malattia, ad abbandonare il violoncello: “Ho pianto”, rispose, “e nemmeno potevo, né volevo sentire altri a suonare; ora invece mi fa piacere un po' di musica, anzi la cerco con ansia e l'ascolto con avidità. (35)
E fu appunto nel 1906, pochi mesi prima della sua morte, quando Egli era molto sofferente e trovavasi a Varenna, (36) che io, ligato a lui da vecchia amicizia e da profonda ammirazione, andai a riabbracciarlo, insieme al mio figliuolo Alberto. Fu per ambedue un momento di grande commozione; stretti l'uno all'altro, le lagrime, che copiosamente scendevano da' nostri occhi, c'impedivano la parola! Io mi era recato da lui, non solo per rivederlo, ma per rinnovargli la preghiera di musicare un Requiem per l'altro mio povero figliuolo Enrico, morto a 26 anni nel fiore della vita e delle speranze! Della visita e del mio desiderio, Gaetano Braga ha lasciato un ricordo nelle sue Memorie con i brani, che, a mio grande conforto e per mio orgoglio, qui trascrivo. Non avrei mai pensato allora che il coro delle alunne della mia Scuola avrebbe cantato quel Requiem, composto per lo sventurato Enrico, nelle esequie di quel giovanetto, che mi accompagnava, così bello, così gentile, così simpaticamente vivace, così pieno di vita, ed al quale il mio Gaetano fece così affettuosa e cordiale accoglienza! Ignoto e terribile destino delle cose umane!
(35)
E il Bolza aggiunge: “Mentre lo lasciavo, scorsi nel mezzo del salotto il suo violoncello
adagiato al muro, chiuso nella custodia di legno nero: posava muto
ed immobile, ritto come una croce, come una fede; e dal pio silenzio, dalle
rimembranze del Maestro, da' ricordi che erano nel salotto, si levava come un
solo pensiero di dolore, il volo delle memorie, che aleggiavano su ogni
cosa! Ma l'anima di quell'artista batteva e sognava ancora, avida dell'arte sua;
anelante a nuove gioie e forse non soddisfatta ancora — forse una perla ancora, e
non ultima, vorrebbe aggiungere alla collana delle sue melodie. — Ed ho sentito
in quell'istante tutta la grandezza di quel vecchio artista, che soffriva per l'abbandono
dell'arte sua, ed ho ricordato, lasciandolo, un verso del forte Poeta
abruzzese, amico carissimo di Braga: L'anima non aera giammai l'oblio! E
l' anima di un artista non avrà giammai l'oblio se pur egli lo vuole”. (Ars et
Labor, Milano, 1906, Vol. 2°, pag. 901).
(36)
In quell'anno erasi recato a Varenna il chiaro artista Rodolfo Guilden di Francoforte,
che eseguì un bello e somigliante ritratto di G. Braga, compiuto il 4 ottobre
ed esposto con successo a Milano prima, in Germania, dopo. Ignoro dove questa
egregia opera oggi si trovi.
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