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Per lui, non è musica “quella che nulla esprime e perciò non commuove: essa si giudica col cuore e non con l'orecchio, come fanno molti sapientoni di oggi: le forme dell'arte cambieranno, ma l'arte, nella sua essenza, resterà sempre quella che è, quella che deve sempre essere, il grande, ineffabile sollievo de' mortali”. E lo prova con l'effetto che la musica produceva su di lui: si commuove fino alle lagrime, nel terzetto del Guglielmo Tell alla frase: il padre mi maledica; alla canzone dell'Otello: assisa a pié di un salice, cantata dalla Frezzolini; all'ultimo atto della Norma, cantato dalla Fricci; al Vidit suum dulce natum, nello Stabat di Pergolesi; e rammenta la dolcezza e l'emozione, che provava nell'udire un quartetto di Mozart, musicista così fine, così delicato, così ricco d'ispirazione e di melodie semplici, attraenti, suggestive, o la Settima sinfonia di Beethoven, la cui parola tragica, divina, rivelatrice, e specialmente il presto e il meno presto, di questa sinfonia formavano la sua delizia: (41) non mancava mai di assistere alle rappresentazioni teatrali, specialmente quando vi prendeva parte Rubini, che fu il più perfetto interprete delle opere di Bellini. (41) Racconta : “Specialmente il meno presto m' inebriava; sembravami trovarmi in un coro di Angeli. Quando al Conservatorio di Parigi si suonava quel pezzo, i professori, che mi conoscevano, guardavano agli ultimi scanni senza spalliera, dove io mi trovavo, per vedermi sorridere dal piacere. Io uscivo dal Conservatorio sempre con un grande sfinimento di voce, perché gridavo fino a che il Direttore Gerard non faceva ripetere il pezzo e il meno presto, con grandi risate di quei professori, che dicevano : 'Quel diavolo di Braga, l'ha vinta!' “. |