Nei giorni della fanciullezza ella era contenta quando poteva leggere e meditare le auguste bellezze dei versi e farne degli improvvisi. Di rado li affidava alla carta: ciò ch'ella veniva scrivendo, o bruciava, o nascondeva in un sito riposto nella casa. Si rattristava della sua fatica che le sembrava vana, tanto che spesso dava in pianto dirotto: "Fosca nube alcun tempo mi ascese / Del mio genio la stella romita; / E fu grama angosciata la vita / Per me rosa da ansio desir.
Uscì da questo stato angoscioso quando la sorella Adelaide disse al padre che aveva vista scrivere alla Giannina e nascondere ogni cosa. Il padre, dubitando di qualche amore segreto, la costrinse a mostrare gli scritti nascosti, e subito si recò dal colto signore della sua città Stefano De Martinis, per avere il giudizio di quei sonetti e di quelle romanze. Questi lesse, giudicò e si offrì educatore della Giannina. Giannina vide aperta la via al suo genio e sostituì alla lettura disordinata lo studio ordinato e razionale con la guida del maestro. Altro aiuto le venne dal fratello della madre, Pancrazio Rossi, libraio che forniva di libri la Giannina. Studiò pure musica con il maestro Bruschelli, ma presto abbandonò questa arte per dedicarsi tutta alla poesia.
Quando nel 1845 giunse a Teramo il Regaldi, la Milli si presentò al poeta; questi, sentitola improvvisare pronosticò grande fama alla ventenne Giannina. Il decennio dal 1840 al 1850 fu un periodo fecondo di preparazione. Ma quanta folla di dubbi assalse la Giannina prima di esporsi al pubblico. Fu prima improvvisatrice solo alla presenza del suo maestro; quindi improvvisa in un circolo di pochi amici, alla fine si risolvette a pubblici esperimenti. La Milli finì col conquistare anche coloro che erano più chiusi agli incanti dei versi estemporanei. Quando giunse a Teramo nel 1847 il signor Arduini, un giovane letterato marchigiano amico dei Delfico, diede alla Milli un tema sopra il Re David, e messo fuori l'orologio, bastarono solo quattro minuti a Giannina per dirvi uno stupendo sonetto. Arduini scrisse sulla poetessa un lungo panegirico nel giornale che si pubblicava allora in Roma, il 'Fanfulla'.
Per la sua particolare disposizione, le riusciva più facile l'improvvisazione poetica che non la composizione meditata. Nei giorni che precedevano le accademie alle quali partecipava viveva una trepidazione tale da indurla a rifiutare persino il cibo, e di cadere all'indomani della recita in un profondo stato di prostazione fisica che la costringeva al letto. Da Torino dove la Milli ha tenuto un accademia, così scrive alla Contessa Clara Maffei: "...duro fatica anche a tracciare queste poche linee di sconnessa prosa, e un raffreddore di testa mi ha confuso tanto le idee che mi pare d' essere
una scimunita."
Nessuna poetessa improvvisatrice destò tanto plauso perchè nessuno operò i morali e civili effetti della Milli; i soggetti della Milli furono Dio, la famiglia e la patria, le grandezze, i dolori, le speranze d'Italia; fu la improvvisatrice della redenzione italiana. Anche in mezzo agli applausi la Milli non dimenticava le parole gravi del Giordani contro gli improvvisatori. Volle ella stessa agitare la questione e la risolse assegnando i giusti confini entro i quali la musa improvvisa, sorella minore della meditata, può trovarsi ed esplicare le sue forze.
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