NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Il quale, secondo la sua usanza, del mese d'agosto tra l'altre v'andò una volta, e una domenica mattina, essendo tutti i buoni uomini e le femine delle ville dattorno venuti alla messa nella calonica, quando tempo gli parve, fattosi innanzi disse: - Signori e donne, come voi sapete, vostra usanza è di mandare ogn'anno a' poveri del baron messer Santo Antonio del vostro grano e delle vostre biade, chi poco e chi assai, secondo il podere e la divozion sua, acciò che il beato Santo Antonio vi sia guardia de' buoi e degli asini e de' porci e delle pecore vostre; e oltre a ciò solete pagare, e spezialmente quegli che alla nostra compagnia scritti sono, quel poco debito che ogn'anno si paga una volta. Alle quali cose ricogliere io sono dal mio maggiore, cioè da messer l'abate, stato mandato; e per ciò, con la benedizion di Dio, dopo nona, quando udirete sonare le campanelle, verrete qui di fuor della chiesa là dove io al modo usato vi farò la predicazione, e bascerete la croce; e oltre a ciò, per ciò che divotissimi tutti vi conosco del baron messer Santo Antonio, di spezial grazia vi mosterrò una santissima e bella reliquia, la quale io medesimo già recai dalle sante terre d'oltremare; e questa è una delle penne dello agnolo Gabrielbo, la quale nella camera della Vergine Maria rimase quando egli la venne ad annunziare in Nazzaret. - E questo detto, si tacque e ritornossi alla messa.

     Erano, quando frate Cipolla queste parole diceva, tra gli altri molti nella chiesa due giovani astuti molto, chiamato l'uno Giovanni del Bragoniera e l'altro Biagio Pizzini; li quali, poi che alquanto tra sé ebbero riso della reliquia di frate Cipolla, ancora che molto fossero suoi amici e di sua brigata, seco proposero di fargli di questa penna alcuna beffa. E avendo saputo che frate Cipolla la mattina desinava nel castello con un suo amico, come a tavola il sentirono così se ne scesero alla strada e all'albergo dove il frate era smontato se n'andarono con questo proponimento, che Biagio dovesse tenere a parole il fante di frate Cipolla, e Giovanni dovesse tra le cose del frate cercare di questa penna, chente che ella si fosse, e torgliele, per vedere come egli di questo fatto poi dovesse al popolo dire. Aveva frate Cipolla un suo fante, il quale alcuni chiamavano Guccio Balena e altri Guccio Imbratta, e chi gli diceva Guccio Porco; il quale era tanto cattivo, che egli non è vero che mai Lippo Topo ne facesse alcun cotanto: di cui spesse volte frate Cipolla era usato di motteggiare con la sua brigata e di dire: - Il fante mio ha in sé nove cose tali che, se qualunque è l'una di quelle fosse in Salamone o in Aristotile o in Seneca, avrebbe forza di guastare ogni lor virtù, ogni lor senno, ogni lor santità. Pensate adunque che uom dee essere egli, nel quale né virtù né senno né santità alcuna è, avendone nove! - ; ed essendo alcuna volta domandato quali fossero queste nove cose, ed egli avendole in rima messe, rispondeva: - Dirolvi: egli è tardo, sugliardo e bugiardo: nigligente, disubidente e maldicente: trascutato, smemorato e scostumato; senza che egli ha alcune altre taccherelle con queste, che si taccion per lo migliore. E quello che sommamente è da ridere de' fatti suoi è che egli in ogni luogo vuoi pigliar moglie e tor casa a pigione; e avendo la barba grande e nera e unta, gli par sì forte esser bello e piacevole, che egli s'avvisa che quante femine il veggono tutte di lui s'innamorino. ed essendo lasciato, a tutte andrebbe dietro perdendo la coreggia. È il vero che egli m'è d'un grande aiuto, per ciò che mai niuno non mi vuol si segreto parlare, che egli non voglia la sua parte udire; e se avviene che io d'alcuna cosa sia domandato, ha sì gran paura che io non sappia rispondere, che prestamente risponde egli e si e no, come giudica si convenga.


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