Disse Dante: - Or ecco, io sono suo vicino, io ve lo raccomando.
E tornasi a casa, là dove dal cavaliere fu domandata come il fatto stava.
Dante disse: - E' m'ha risposto bene.
Stando alcun dì, il cavaliere è richiesto che si vada a scusare dell'inquisizione. Egli comparisce, ed essendogli letta la prima, e 'l giudice gli fa leggere la seconda del suo cavalcare così largamente. Il cavaliere, sentendosi raddoppiare le pene, dice fra sé stesso: "Ben ho guadagnato, che dove per la venuta di Dante credea esser prosciolto, ed io sarò condannato doppiamente".
Scusata, accusato che si fu, tornasi a casa, e trovando Dante, dice: - In buona fé, tu m'hai ben servito, ché l'esecutore mi volea condennane d'una cosa innanzi che tu v'andassi; dappoi che tu v'andasti, mi vuole condennare di due; - e molto adirato verso Dante disse: - Se mi condannerà, io sono sofficiente a pagare, e quando che sia ne meriterò chi me n'è cagione.
Disse Dante: - Io vi ho raccomandato tanto, che se foste mio figliuolo; più non si potrebbe fare. Se lo esecutore facesse altro, io non ne sono cagione.
Il cavaliere, crollando la testa, s'andò a casa. Da ivi a pochi dì fu condennato in lire mille per lo primo delitto, ed in altre mille per lo cavalcare largo; onde mai non lo poté sgozzare né elli, né tutta la casa degli Adimari.
E per questo (essendo la principal cagione) da ivi a poco tempo fu per Bianco cacciato in Firenze, e poi morì in esilio, non senza vergogna del suo comune, nella città di Ravenna.
(Novella CXIV)
ASTUZIE DI MESSER DOLCIBENE
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