NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Dice Dante: - O tu che fai?
     - Fo l'arte mia, - dice il fabbro - e voi guastate le mie masserizie, gittandole per la via.
     Dice Dante: - Se tu non vuogli che io guasti le cose tue, non guastare le mie.
     Disse il fabbro: - O che vi guast'io?
     Disse Dante: - Tu canti il libro e non lo di', com'io lo feci; io non ho altr'arte, e tu me la guasti.
     Il fabbro gonfiato, non sapendo rispondere, raccoglie le cose e torna al suo lavoro; e se volle cantare, cantò di Tristano e di Lancellotto e lasciò stare il Dante; e Dante n'andò all'esecutore, com'era inviato.
     E giungendo all'esecutore, e considerando che 'l cavaliere degli Adimari che l'avea pregato, era un giovane altiero e poco grazioso, quando andava per la città, e spezialmente a cavallo, ché andava sì con le gambe aperte che tenea la via, se non era molto larga, che chi passava convenia gli forbisse le punte delle scarpette (ed a Dante che tutto vedea, sempre gli erano dispiaciuti così fatti portamenti); dice Dante allo esecutore: - Voi avete dinanzi alla vostra corte il tale cavaliere per lo tale delitto; io ve lo raccomando, comecché egli tiene modi sì fatti che meriterebbe maggior pena; ed io mi credo che usurpar quello del comune è grandissimo delitto.

     Dante non lo disse a sordo; perocché l'esecutore domandò che cosa era quella del comune che usurpava. Dante rispose: - Quando cavalca per la città, e' va sì con le gambe aperte a cavallo, che chi lo scontra conviene che si torni addietro, e non puote andare a suo viaggio.
     Disse l'esecutore: - E pàrciti questa una beffa? egli è maggior delitto che l'altro.


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