NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Con spezie e melarance e altre zacchere.

     Io ti darei qui cento colpi netti,
     Ma le cose sottil, vo' che tu creda,
     Consiston nelle torte e ne' tocchetti,
     E ti fare' paura una lampreda,
     In quanti modi si fanno i guazzetti:
     E pur chi l'ode poi convien che ceda,
     Perché la gola ha settantadue punti,
     Sanza molt'altri poi ch'io ve n'ho aggiunti.

     Uno che manchi guasta la cucina;
     Non vi potrebbe il ciel poi rimediare.
     Quanti segreti insino a domattina
     Ti potrei di quest'arte rivelare!
     Io fui ostiere alcun tempo in Egina,
     E volli queste cose disputare.
     Or lasciàn questo, e d'udir non t'incresca
     Un'altra mia virtù cardinalesca.

     Ciò ch'io ti dico non va insino all'effe,
     Pensa quand'io sarò condotto al rue:
     Sappi ch'io aro, e non dico da beffe,
     Col cammello e coll'asino e col bue;

     E mille capannucci e mille gueffe
     Ho meritato già per questo, o piue:
     Dove il capo non va, metto la coda,
     E quel che più mi piace è ch'ognun l'oda.

     Mettimi in ballo, mettimi in convito,
     Ch'io fo il dover co' piedi e colle mani;
     Io son prosontuoso, impronto, ardito,
     Non guardo più i parenti, che gli strani;
     Della vergogna io n'ho preso partito,
     E torno a chi mi caccia, come i cani,
     E dico ciò ch'io fo' per ognun sette,
     E poi v'aggiungo mille novellette.

     S'io ho tenuto dell'oche in pastura
     Non domandar, io non te lo direi,
     S'io ti dicessi mille alla ventura,
     Di poche credo ch'io ti fallirei:
     S'io uso a munister per isciagura,
     S'elle son cinque io ne traggo fuor sei,
     Ch'io le fo in modo diventar galante,
     Che non vi campa servigial né fante.

     Or queste son tre virtù cardinale,


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